LA STORIA
Nelle memorie di viaggio di un gentiluomo inglese che nel 1700, seguendo la moda dell’epoca, si era avventurato nel Gran Tour d’Italia, si possono leggere alcune belle pagine dedicate a Verona e ai suoi dintorni. Il nostro viaggiatore, facendo sosta nella città scaligera alla ricerca delle incantate atmosfere descritte un secolo prima dal suo connazionale William Shakespeare in “Romeo & Giulietta”, ne approfittò per concedersi alcune escursioni nelle campagne circostanti. In una di queste, una passeggiata durante un’afosa giornata estiva, su per le colline alla ricerca di un po’ di frescura, fece sosta presso un convento di monache che gli diedero ospitalità offrendogli del buon vino prodotto dai loro contadini.
Un buon vino, una larga collina degradante ad anfiteatro verso Verona, ma dalla quale era anche possibile gettare lo sguardo verso il Lago di Garda, un grande albero secolare che con la sua ombra poteva coprire un’area grande quando una piazza di un centro storico: tutto lascia pensare che quella collina, dove il nostro viaggiatore passò alcune ore di quiete e tranquillità, prima di far rientro nella calura della città, fosse Ca’ Pigneto.
Su questa collina, secoli dopo, posarono gli occhi il conte Dionigio Serenelli e la moglie Mary Therese de Lassotovitch alla ricerca di un buon ritiro. Il vecchio convento non era più quello: alcuni decenni prima la tenuta, con la proprietà, era stata acquistata dalla famiglia Bompiani che l’aveva riattata a villa estiva: qui i Bompiani nelle calde giornate estive ricevevano la nobiltà veronese per interminabili partite a carte all’ombra del maestoso e plurisecolare cedro del Libano mentre le signore si scambiavano amene confidenze sulla vita pubblica e segreta dei protagonisti del bel mondo veneto. Era cambiato un mondo, il convento non c’era più. Erano rimasti una cappella con l’affresco di una madonna a ricordare i trascorsi conventuali della proprietà, il grande cedro del Libano, ma anche, in un angolo della tenuta,alcuni vecchi vitigni sopravissuti all’incuria del tempo. I Bompiani non vi avevano dato gran peso.
Il conte Dionigio Serenelli si appassionò invece all’idea di produrre un vino da quei vecchi tralci. L’hobby si trasformò in una vera e propria attività imprenditoriale con la figlia Paola e suo marito Carlo Adami, chirurgo di fama internazionale, che aveva introdotto per primo in Italia una tecnica d’intervento endovascolare utilizzata per la cura della patologia aortica, che diedero vita alla cantina di Ca’ Pigneto. Una scelta nata dall’amore per la terra, per la storia del territorio, ma anche nella consapevolezza delle virtù del vino, soprattutto di un vino eccellente che si impose subito all’attenzione degli enologi e degli enogastronomi.
L’erede di quell’antico vigneto abbandonato è oggi un’azienda agricola che produce Amarone, (il “vino amaro“di cui parlava Catullo); Ripasso (che deve il suo nome alla seconda fermentazione ottenuta con le vinacce utilizzate per la fermentazione dell’Amarone), Recioto, vino apprezzato fin dai tempi di Teodorico per il gradevole sapore ottenuto con l’appassimento delle uve. Vini fra i più blasonati della Valpolicella: frutto di un’organizzazione lavorativa secondo le più moderne tecniche che punta ad esaltare le proprietà organolettiche, coniugando la tradizione dei vecchi contadini con i progressi della tecnica moderna.
Oggi nella conduzione dell’Azienda si è inserita, e con successo, la terza generazione: Angelica, Nicolò e Veronica hanno preso il testimone di uno straordinario patrimonio ampliandone l’operatività, intenzionati a portare avanti la produzione vinicola verso ulteriori traguardi di eccellenza, promovendola non solo in Italia, ma anche all’estero dove il “Ca’ Pigneto” è richiesto dalle tavole dei cultori dei vini più esclusivi.